Fino ad oggi i dati diffusi si sono basati sul consumo di carne apparente (che comprende cioè parti
non edibili). Il dato reale corrisponde in verità a meno della metà. Lo ha spiegato Vincenzo Russo, docente dell’Università di Bologna
Sulla relazione tra il consumo di carne e il benessere e i presunti rischi per la salute, verrebbe da dire, è proprio il caso di ripartire da zero. E ridimensionare così gli allarmi eccessivi lungo lo Stivale.
Per intenderci, “Finora i dati diffusi (Fao, Ismea) si sono basati solo sul consumo di carne apparente che comprende, cioè, parti non edibili come anche cali di lavorazione e scarti, inducendo a una notevole sovrastima del quantitativo ingerito, tant’è che il dato reale corrisponde
di fatto a meno della metà.
Ossia: negli ultimi anni il consumo giornaliero procapite reale di carne (tutti i tipi: pollo, suino, bovina, ovicaprina) è stato in media di 104 grammi invece che di 237» (figura 1). Lo ha detto Vincenzo Russo, autore del volume “Consumo reale di carne e di pesce in Italia” e professore emerito di Zootecnia all’Università di Bologna, a un’attenta platea di universitari, ricercatori e imprenditori riunitasi nel capoluogo emiliano presso il comando regionale dei Carabinieri, in occasione del convegno dal titolo “Carne e i suoi valori nell’alimentazione umana” organizzato dall’Accademia nazionale di agricoltura -presieduta dal professor Giorgio Cantelli Forti – in collaborazione con la Società italiana di nutrizione
umana (Sinu), l’Associazione Carni Sostenibili, l’Associazione regionale giornalisti specializzati in
agricoltura e ambiente (Arga) e l’Associazione per la scienza e le produzioni animali (Aspa).